martedì 21 aprile 2009

LA BIOGRAFIA DI GIOVANNI BEATRICE (ZANZANU')

Giovanni Beatrice detto Zanon (o Zanzanù)
Nato a Gargnano il 23 aprile 1576 – Morto a Tignale il 17 agosto 1617)

Giovanni Beatrice nacque a Gargnano (Brescia) nell'aprile del 1576. Il padre Giovanni Maria Beatrice, oste e commerciante, apparteneva ad una famiglia di Gargnano, centro allora appartenente alla cosiddetta Magnifica Patria della Riviera, il cui consiglio generale riuniva i rappresentanti delle numerose comunità poste sulla riva occidentale del lago di Garda. Giovanni era anche conosciuto come Zuanne Zanon, nome che successivamente - con l'uso – si sarebbe contratto in quello più conosciuto di Zanzanù.

Agli inizi del Seicento la Riviera occidentale del Garda viveva una realtà politica piuttosto complessa. Amministrata dal Provveditore e Capitano inviato da Venezia, ma anche, nel settore della giustizia civile, da un podestà eletto per antica prerogativa dalla città di Brescia, la Riviera del Garda era caratterizzata sia per la floridezza economica, che per le tensioni sociali che animavano la competizione economica e politica dei suoi ceti dirigenti. La rete di relazioni delle parentele locali e le sue connessioni clientelari si annodavano inestricabilmente in un centro come Salò, che, però, più che costituire un capoluogo in grado di estendere il suo controllo sul rimanente del territorio, rappresentava tendenzialmente il punto di raccordo di numerose variabili sociali e politiche.

E’ in questo ambito territoriale e istituzionale che nasce dapprima l’epopea di Zanzanù e poi, successivamente, il mito che ne avrebbe tramandato le vicende e le gesta sino ai nostri giorni.

Zanzanù compare sullo scenario giudiziario il 24 marzo 1602, nel corso di una sfilata di soldati che si teneva a Gargnano (le cosiddette cernide). Zanzanù è tra costoro, così come Francesco Sette di Maderno, fratello di Giacomo Sette detto il Chierico, suo nemico giurato. Zanzanù ferisce il rivale, mentre lo zio Giovan Francesco Beatrice detto Lima uccide il compagno che tentava di vendicarlo. L’aggressione e il ferimento sembrano non premeditati e forse erano l’estrema conseguenza di un’offesa arrecata ai Beatrice sul piano dell’onore. I due Beatrice vengono banditi da tutti i territori della Repubblica e devono vivere nella latitanza, in attesa che venga conclusa una pace tra le due parentele. Questa difatti viene stabilita l’anno seguente nel monastero di San Francesco di Gargnano creando così il presupposto di un loro ritorno nei territori da cui erano stati banditi.

Imprevedibilmente però, nel maggio del 1605, Giovan Maria Beatrice, padre di Zanzanù, viene proditoriamente ucciso dagli avversari. Una vicenda che nella sua fase iniziale sembrava non essere diversa dalle molte altre che costellavano i conflitti di faida dell’epoca, si dilata così in maniera inusitata, imboccando una via senza ritorno. Giovanni e lo zio Giovan Francesco, insieme ad alcuni loro sostenitori e parenti, scatenano difatti una serie ininterrotta di vendette, costellate da omicidi, ferimenti, agguati e ritorsioni senza esclusione di colpi. Le severe leggi bannitorie emanate dalla Repubblica, che prevedevano l’impunità per gli uccisori dei banditi e ricchi premi a coloro che li avessero catturati o uccisi, accentuarono inesorabilmente il conflitto, che pure nel 1607 vide l’uccisione di Giacomo Sette, l’odiato rivale.

Una serie cospicua di sentenze di bando erano state pronunciate dal 1605 al 1609 dalle magistrature veneziane contro quella che ormai era conosciuta come la banda degli Zannoni, inseguita inutilmente dai temuti soldati corsi inviati ripetutamente, ma inutilmente, dalle autorità per debellarla, anche con l’appoggio dei loro numerosi nemici.

Nonostante la dura azione repressiva, condotta quasi senza tregua, la banda degli Zannoni, come non nascondevano gli stessi provveditori veneziani nei loro dispacci, aveva potuto agire con tanta efficacia anche grazie all’aiuto e protezione prestati dai numerosi sostenitori e parenti su cui essi potevano contare in tutta l’Alta Riviera. Una parte della popolazione, probabilmente, non dimenticava inoltre l’azione disonorevole dei loro avversari che si erano macchiati di un delitto così disonorevole quale la rottura di una pace stabilita in un luogo sacro.
Ma ciò che non poté ottenere la dura reazione giudiziaria e militare, fu comunque raggiunto dai numerosi cacciatori di taglie che ambivano di riscuotere i numerosi premi e taglie posti sulle teste dei banditi. Nella notte del 13 febbraio 1609 un gruppo di banditi e di loro sostenitori che da tempo erano appostati nel porto di Riva del Garda, assalirono di sorpresa la banda degli Zannoni, decimandola quasi per intero. Giovan Francesco Beatrice ed altri membri della banda vennero uccisi. Zanzanù si salvò sorprendentemente gettandosi nelle gelide acque del lago, sfuggendo nei giorni seguenti pure all’assalto di un compagno della banda, lo stesso che, agendo di concerto con il Provveditore veneziano, aveva informato gli assalitori dei loro movimenti.

Quel tuffo nel lago fu l’avvio dell’epopea di un bandito che pure, negli anni precedenti si era mosso, sotto la guida dello zio, nell’inesorabile ricerca della vendetta. Un’epopea che si caratterizzò da subito con una serie di azioni eclatanti e l’avvio del mito contrassegnato dall’imprendibilità e dal coraggio. Così di certo una parte della popolazione cominciava a percepirne l’immagine, nonostante le severe sentenze pronunciate dalle magistrature veneziane, che lo accusavano pure di delitti come i furti e le rapine, allora ritenute oltremodo infamanti.

Un’immagine che cominciava a delinearsi estremamente pericolosa, soprattutto nel momento in cui essa finiva inevitabilmente per riverberarsi negli aspri conflitti che dilaniavano pure il ceto dirigente di Salò e delle famiglie che più si identificavano nel Consiglio generale della Magnifica Patria. Tant’è che, quando, il 29 maggio 1610, il podestà di Salò Bernardino Ganassoni venne platealmente ucciso da alcuni suoi avversari nel Duomo di Salò, durante una solenne funzione religiosa, fu facile gioco coinvolgere Zanzanù, il quale fu accusato di essere uno dei principali autori dell’omicidio. Egli fu colpito da una severissima sentenza pronunciata dal Consiglio dei dieci, che tra l’altro prevedeva l’abbattimento della sua casa di famiglia posta in Gargnano, con la confisca di tutti i suoi beni. Il clima incandescente di quei mesi spinse inoltre le supreme autorità veneziane ad inviare in Riviera, Leonardo Mocenigo, il Provveditore generale eletto dal Senato per reprimere il banditismo nei territori posti oltre il Mincio. Giunto a Salò nell’autunno del 1610, il Mocenigo in realtà ripristinò gli equilibri infranti dalle tensioni insorte nei due anni precedenti e dall’omicidio del Ganassoni. La sua azione repressiva si mosse però soprattutto nei confronti di Zanzanù e dei suoi sostenitori, tra cui la moglie che venne bandita. Inoltre ordinò l’abbattimento della sua casa, così come era stato ordinato nella sentenza del Consiglio dei dieci.

L’azione repressiva del Mocenigo mirava a fare terra bruciata intorno all’imprendibile bandito, ma ne provocò la dura reazione. Con una serie di attacchi a sorpresa, Zanzanù scese ripetutamente a Gargnano e nelle comunità limitrofe, scagliandosi contro i suoi nemici, che per lo più appartenevano al ceto dei notabili locali. Ed è a partire da questi anni che egli applica ripetutamente la pratica del sequestro di persona, con il fine di indebolire gli avversari e di procacciarsi di che vivere. Il caso più clamoroso si registra nel settembre del 1611, quando Zanzanù entra nella casa del possidente Stefano Protasio, conducendolo poi sui monti circostanti e nascondendolo in alcune grotte di cui il territorio ancor oggi è ben provvisto. Il rapimento e la detenzione del Protasio, con la sua successiva liberazione dietro il pagamento di un ingente riscatto costituivano una vera e propria sfida nei confronti delle autorità e del notabilato locale, che percepivano ormai il bandito come una minaccia incombente di cui ci si doveva assolutamente liberare. Il Consiglio dei dieci pose così una taglia cospicua sul suo capo, accogliendo pure senza riserva le proposte che giungevano da parte di alcuni cacciatori di taglie di eliminarlo con tutti i mezzi possibili.

Di fronte al clima incandescente e pericoloso venutosi a creare dopo il rapimento del Protasio, Zanzanù decise di abbandonare definitivamente la Riviera del Garda, trasferendosi nei territori limitrofi ed infine nel ducato di Parma, dove servì come condottiero militare al servizio del duca locale. Molto probabilmente nelle sue intenzioni si trattava di un addio definitivo ai luoghi in cui, per quasi un decennio, aveva cercato, quasi senza tregua, di condurre a termine la sua azione di vendetta, inserendosi in una spirale di inusitata violenza, che aveva infine travolto tutta la sua famiglia.

Nella tarda primavera del 1615 Zanzanù è però segnalato nuovamente nei territori dell’Alta Riviera. Molto probabilmente l’imminente crisi tra Venezia e l’Austria che, nell’estate dello stesso anno, sarebbe sfociata nella guerra di Gradisca, l’aveva indotto a ritornare sui luoghi natii. Da subito i provveditori veneziani segnalano allarmati la sua presenza e la rinnovata pratica del sequestro da lui condotta contro i suoi avversari. E non hanno esitazioni ad assumere provvedimenti che costringano le comunità a combatterlo, così come a perseguire i numerosi sostenitori che l’avevano accolto con favore al suo ritorno. Ma Zanzanù probabilmente vuole rompere con il suo passato e nel giugno del 1616 presenta una supplica al Consiglio dei dieci, in cui ripercorrendo le fasi salienti della sua vita, chiede di potere essere liberato dai suoi numerosi bandi e di ritornare nei luoghi natii in cambio dell’offerta di servire, insieme ad alcuni suoi compagni, come uomini d’armi nella guerra allora in corso in Friuli.

La proposta venne volutamente fatta cadere, anche perché Zanzanù aveva avanzato la sua richiesta ricorrendo ad una sorta di taglieggiamento nei confronti delle comunità della Riviera, le quali avrebbero dovuto contribuire alle spese necessarie, in cambio della tranquillità di cui avrebbero potuto godere dopo la sua partenza.
Zanzanù continuò così le sue incessanti attività di disturbo alternando la sua presenza nei monti circostanti l’Alta Riviera, con frequenti sconfinamenti nei territori confinanti.

Nell’agosto del 1617 è di nuovo in Riviera, insieme ad altri cinque uomini raccolti in tutta fretta. Il suo obbiettivo è quello di scendere a Tignale e di rapire un notabile locale su cui aveva posto una taglia cospicua di denaro. La presenza del Provveditore Giustiniano Badoer, che si era recato in Alta Riviera per controllare, i confini e i passi che conducevano nei territori nemici, rallenta i movimenti dell’esiguo gruppo armato. Per tutto il giorno e la notte del 16 agosto Zanzanù attende nei monti sopra Tignale in attesa della partenza del provveditore. Il clima non era di certo favorevole. In tutta l’Alta Riviera la popolazione adulta maschile era stata militarizzata agli ordini dei notabili locali e provvista di armi. Inoltre si era sparsa in tutta la zona un’inquietudine nei confronti di una possibile e temibile incursione delle truppe nemiche. Una minaccia che si calava nel clima di trepida attesa religiosa contrassegnata dai riti e dalle processioni che miravano ad ottenere un intervento divino volto a porre fine all’interminabile siccità.
All’alba del 17 agosto 1617 Zanzanù scende dai monti ed entra nella casa di Zuanne Cavaliere, il ricco possidente di Gardola di Tignale sul quale aveva posto una grossa taglia in denaro. La reazione della popolazione è immediata e sorprendente. Gruppi di armati, guidati dai loro capi si gettano all’inseguimento di Zanzanù e dei suoi uomini che hanno con sé l’uomo rapito dalla sua casa. Tutti i sei villaggi che compongono la comunità di Tignale si muovono, come in un disegno preordinato, per tagliare la strada ai banditi. La lunga attesa del nemico arciducale e il controllo esercitato dai capi locali sono ora fattori decisivi che sembrano muoversi all’unisono contro il famoso bandito. Gardola, Aer, Olzano, Piovere, Oldesio e Prebione: ciascuno dei villaggi, con i suoi gruppi di armati sa cosa deve fare, come in un rito ripetuto altre volte.

Zanzanù intendeva probabilmente rifugiarsi in uno dei numerosi cunicoli che affiorano tra quei monti, ma l’inaspettata reazione dei sei villaggi e l’improvvisa fuga dell’ostaggio, lo costringono a puntare rapidamente verso il confine. Non c’è scampo. Gli uomini di Prebione, già sopraggiunti nei sentieri più elevati, li costringono a rifugiarsi in un anfratto di località Visine. E’ uno scontro aspro e violento, con diversi morti per entrambe le parti, ma anche inframmezzato di lunghi silenzi lancinanti nella calura estiva. Zanzanù è rimasto con soli due compagni, acquattato in quell’angusto anfratto, protetto da pietre e zolle disposte alla meglio. Non manca molto all’imbrunire e con il favore della notte è forse possibile tentare una sortita. Anche gli uomini di Prebione temono questa eventualità. Uno di loro ha un’idea geniale: è necessario procurarsi un carro agricolo e munirlo di assi nella parte anteriore. In questo modo si avvicinano pericolosamente agli avversari. Impossibilitati a difendersi, i tre uomini balzano fuori improvvisamente e s’inoltrano precipitosamente giù, lungo uno dei tanti ruscelli che scendono a valle. Imboccato un sentiero di mezza costa che conduce verso i sottostanti villaggi la speranza sembra riaffiorare. Ma inutilmente: a sbarrare loro la strada sono giunti gli uomini di Gargnano e devono per forza arretrare. La vallata delle Monible (Luné) sembra offrire un riparo, tra quei due ruscelli che tagliano il fondo polveroso del sentiero. E’ tutto inutile. Da sopra, e da tutto intorno, sopraggiungono gli uomini di Tignale. Non c’è scampo e gli ultimi colpi di archibugio lasciano Zanzanù e i suoi due compagni esanimi a terra. I loro corpi, il giorno seguente, vengono trasportati a Salò per la richiesta delle taglie e dei premi. Come era previsto dalle leggi gli uomini delle due comunità devono comprovare con testimonianze l’avvenuta uccisione di Zanzanù e dei suoi compagni. Pure uno dei banditi è sopravvissuto, ferito nello scontro delle Visine. Tutte le loro testimonianze sono raccolte dal giudice inviato da Salò. Qualcosa non convince però quest’ultimo: sono molti gli uomini della comunità morti nel corso dello scontro. Chi li ha uccisi? Chi si è poi impossessato delle armi e dei vestiti dei banditi? Chi, infine, ha ucciso Zanzanù in quella valletta, tra i due ruscelli? Il giudice non troverà risposta certa a tutte queste domande. Domande del tutto legittime: Zanzanù negli anni precedenti aveva goduto di favori e di protezioni. La sua immagine non coincideva di certo a tutto tondo con quella offerta dall’azione repressiva delle autorità veneziane e locali.
Ma l’epopea di Zanzanù non sarebbe forse entrata nella dimensione del mito in grado di superare le barriere del tempo e giungere sino a noi, se un altro evento, non così scontato, non si fosse verificato. L’anno seguente i notabili della comunità di Tignale pensarono bene che quanto era accaduto meritasse di essere ricordato e si dovesse, comunque, ringraziare la Madonna di Montecastello, la cui chiesetta sovrastava misericordiosa i sei villaggi. Fu commissionato un grande quadro che come ex-voto dovesse rappresentare il miracolo avvenuto il 17 agosto 1617. La consacrazione della grande vittoria sanciva così la grande impresa della comunità e la continuità degli equilibri sociali minacciati dalle continue incursioni di Zanzanù. Il grande dipinto, che ancora oggi è conservato a Gardola, nel santuario della madonna di Montecastello, è attribuito al pittore Giovan Andrea Bertanza. La sequenza filmica degli eventi è riportata con grande maestria e forse il pittore volle rappresentarsi in quell’uomo che, quasi sorpreso ed attonito, fissa chi ammira il dipinto. Con l’ex-voto di Montecastello l’epopea di Zanzanù non cadde nell’oblio e, di generazione in generazione, è giunta sino a noi. Il pittore, di certo, esaudì la volontà dei notabili della comunità. ma seppe anche rappresentare quell’immagine che aveva cominciato ad assumere le sembianze del mito. Zanzanù è ripreso in tutte le fasi del combattimento, sino alla morte. La sua fuga dall’anfratto in cui s’era rifugiato con i suoi uomini è descritta nei minimi particolari. La sua corsa affannosa verso valle, con a fianco il suo compagno, sul cui viso è impressa la morte ormai imminente, è tracciata ricorrendo a una descrizione dai toni epici. Il trasbordare rumoroso degli avversari, con fitti lanci di pietre e il frastuono rosso delle archibugiate, contrasta con la solitudine disperata e la fine del fuorilegge.

Il suo corpo abbandonato, disteso ai piedi di un grande macigno, è lambito da uno dei due ruscelli che costeggiano la valle delle Monible. Tutto sembra solennemente ruotare attorno a lui, anche i gruppi compatti degli uomini della comunità, protesi aggressivamente in avanti con i loro archibugi puntati.

Martire o truce e violento bandito? Il nostro pittore volle comunque essere molto preciso e rimanere aderente al dettagliato resoconto dei protagonisti della battaglia. Rappresentazione retorica dell’impresa della comunità e della grazia divina ad essa concessa tramite l’intercessione della Madonna di Montecastello, il dipinto esprime altresì una sorta di grandioso rito sacrificale, culminante con la morte di Zanzanù, il cui corpo giace inerte, circondato dagli attaccanti, proprio al centro del maestoso ex-voto.

Il pathos che attraversa il dipinto investe in tutta la sua grandezza lo stesso bandito e i suoi compagni che hanno saputo combattere sino alla morte. La loro non è una rappresentazione del Male: la tragicità dell’evento, rischiarato dalla grazia divina, sembra averli posti, anche se da sconfitti, in quella stessa aura di eroismo che anima la tensione dei corpi degli attaccanti. In realtà è Zanzanù il vero protagonista di quel giorno memorabile. Le sue imprese precedenti sembrano riscattarsi in quella morte tragica e inesorabile. Il nostro pittore, inconsapevolmente, esprime magistralmente nella sua opera tutta l’ambiguità insita nell’immagine del bandito. Il dipinto doveva magnificare il valore della comunità, indicare a tutti la tenacia e l’ardimento dei suoi abitanti e l’aiuto loro porto dalla grazia divina. In realtà si costituì pure nei secoli come veicolo di trasmissione di un’epopea che già aveva cominciato ad assumere la dimensione del mito nel corso della vita di un uomo che il gioco crudele del destino aveva trasformato in un truce e crudele bandito.

Claudio Povolo, Vicenza, 16 aprile 2009

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(*) Questa nota biografica è stata realizzata dal professor Claudio Povolo docente di Antropologia giuridica (Storia delle istituzioni politiche e giudiziarie) presso il dipartimento di Studi storici dell'Università di Venezia Ca' Foscari. Questa nota biografica è la sintesi di una ricerca condotta dal prof. Povolo da oltre vent'anni sulle tracce del famoso bandito dell'Alta Riviera del Garda presso gli archivi pubblici di Venezia, Brescia, Salò (Archivio della Magnifica Patria) e Gargnano. L'intero complesso delle fonti archivistiche recuperate nel corso della ricerca (centinaia di documenti storici) si trova trascritto, pubblicato ed è liberamente consultabile su web (per accedere selezionate "login come ospite"). I risultati di questa ricerca saranno molto presto condensati in un libro dedicato alla biografia di Zanzanù. Nel frattempo il professor Povolo ha voluto pubblicare sul web questa breve nota biografica anche per evitare che alcuni testi, redatti da biografi improvvisati e non in grado di calare correttanmente la figura di Zanzanù nel perido storico in cui ha operato ed è vissuto, contribuiscano a diffondere, assieme ad alcune informazioni quantomeno fantasiose, una immagine di Zanzanù non rispondente alla verità storica.

lunedì 19 maggio 2008

Come accedere al nuovo blog di Zanzanù

Ciao a tutti all''interno del corso ho pubblicato un breve manualetto che spiega, passo dopo passo, come fare per accreditarsi nel nuovo blog e ottenete l'account di Google. Si tratta di sei passaggi molto semplici che non richiedono che pochi minuti del vostro tempo.

Qui sotto potete andare direttamente alla pagina del manuale.

RE: I protagonisti della battaglia (di Claudio Povolo)

Come sempre Cristina interviene con riflessioni che stimolano la discussione. Confesso che anch'io, in un primo momento, avevo pensato al vero e proprio agguato. In realtà ho poi dovuto ricredermi per due ordini di motivi. Il primo è che dalla lettura di tutte le testimonianze si evince, in un certo senso, la sorpresa da parte degli abitanti di Tignale. Il secondo è che dalle parole del Badoer si evince pure che era venuto a sapere della venuta in Riviera di Zanzanù, ma non che piombasse specificamente su Tignale (anche se il giorno prima vi era stato). Da chi l'aveva saputo? Probabilmente dall'uomo che, come sostiene Pietro Gardoncino) era entrato a sorpresa nella casa di Gargnano dove Zanzanù e compagni si erano rifugiati, tanto da indurli a prendere subito la via dei monti. L'ipotesi di Cristina di un coinvolgimento dei capi (come quinta colonna) è difficile da sostenere. Ad esempio il capo di Aer, Ton di Ton, è genero del Cavaliere che viene rapito. I capi appartengono a quei notabili così spesso bersaglio di Zanzanù. Anche se non possiamo evidentemente escludere tale ipotesi. Nel punto 'I ripensamenti di Zanzanù' si esplicita chiaramente che 'amici e nemici' del bandito avrebbero desiderato porre fine ala sua latitanza. Espressione che sembrerebbe indicare tra i 'fautori' anche persone di una certa levatura sociale. Che cosa avvenne dunque il 17 agosto 1617 tra i monti di Tignale? I sospetti del Provveditore non calavano probabilmente nel vuoto, ma servirebbero altri indizi per avvalorare l'ipotesi di una quinta colonna che aveva operato per aiutarlo. Di certo sei morti sono tanti e, al di là dei capi, si individuano altre persone di non infima condizione. Mi aveva colpito la partecipazione della comunità di Prebion, ma qui probabilmente incide anche la dislocazione geografica. Si vedano le immagini riprodotte da Giovanni Mometto avvalendosi di Google o delle fotografie del 1916.

Probabiolmente bisogna riflettere ancora, entrando più analiticamente nelle testimonianze e nelle immagini.

domenica 18 maggio 2008

I protagonisti della battaglia (di Cristina Bagarotto)

Ho cercato di mettere un po’ di ordine al contenuto dell’inchiesta del Provveditore di Salò:
i sei morti appartengono tutti al comune di Tignale e rispettivamente alle terre di:
Andrea Antonietto detto il Baratto di Prebion, Alovise Dal Lago di Oldese, Giacomo Gramolo quondam Giacomin capo di Prebion, Gasper del quondam Domenego Dall’Ho detto Colos di Aer , Giovan Battista Roncetto di Gardola, Zan Antonio Roncetto di Oldes. Fra loro c’è il notaio di Gardola e il capo dei soldati di Prebion. Non sono riuscita a identificare tra i sei capi della lista dei soldati di Tignale [(Paresino Paresini (Gardola), Olzano Roncetto (Piover), Giacomo Comino (Prebion), Zuane Ceruto (Aer), Antonio Tonone (Oldes), Giacomo di Paoli (Olzano)] un altro nome che possa essere identificato con quelli dell’inchiesta. Tra gli altri interrogati che erano presenti allo scontro, sono riconoscibili nella lista dei soldati: Bernardo Zuanmaria Mandina e Mathe Dell’Avanzo (Gardola), Agnolin quondam Zuan Pas (Piover), Antonio Bertolaso da Aer.
Dunque sembra che tutte le terre di Tignale parteciparono allo scontro, ma Prebion, Gardola e Piover probabilmente vi presero parte per prime. E questo si spiega sia perché lo scontro era iniziato proprio a Gardola dove Zanzanù si era recato per prelevare Zunne Cavaliero, sia per la posizione strategica di queste terre poste al confine dei territori arciducali e perciò particolarmente allertate e armate durante la guerra di Gradisca (v. relazione del Provveditore Badoer del 29 luglio 1617 in Contorni – parte terza).
Ma c’è qualcosa che merita qualche riflessione nel contenuto del dispaccio del Provveditore Badoer ai Capi del Consiglio dei Dieci del 4 ottobre 1617 (2.1). Egli infatti si era recato in quei luoghi (aveva alloggiato proprio a Gardola) “Pensai perciò con ogni spirito alla distruttione di costui et col mezo di spie, promesse et donni procurare intender li andamenti suoi. Onde, saputosi che era in Riviera per essequire qualche diabolico suo pensiero, rissolsi, con occasione di riveder alcuni passi superiori alli confini, andar in persona a dar tutti quelli ordini et instruttioni a quei communi alli quali, per le cognitioni che havevo dovea capitare, stimavo necessarie.Per il che, feci chiamare li capi delle genti armate et li consoli dei communi…”. Da queste sue parole prende corpo, a mio parere, l’ipotesi che fosse stato organizzato un agguato nei confronti di Zanzanù, un vero e proprio piano d’attacco. E questo potrebbe anche spiegare come qualcuno a conoscenza di questo piano (qualcuno tra i capi dei soldati? erano costoro infatti i primi ad essere informati) avesse potuto formare quella “quinta colonna” dei fautori di Zanzanù che forse avevano prestato aiuto ai banditi durante la battaglia.
Ovviamente tutto è ancora da dimostrare.
Ciao a tutti.

I protagonisti della battaglia, di Alessandro Tassan Got

Ancora non ho ben capito chi siano i veri protagonisti della vicenda e chi avrebbe aiutato Zanzanù per questo volevo sottoporvi alcuni problemi che non ho risolto.

Nell’interrogatorio (13.4) del vicario Bartolomio Cavalliero, nonché fratello del rapito, il provveditore chiede notizia di un certo Gasper del quondam Domenego dall’Ho ma poi entrambi sembrano dimenticarsene, io non l’ho più ritrovato… è morto, ferito? Nello stesso interrogatorio entrambi sembrano fare confusione su Andrea Busato e Andrea Antonietto detto il Baratto (che tra l’altro ha 80 anni), sono la stessa persona? Quindi i morti tra gli inseguitori quanti sono? I quattro Giovan Antonio Brachetta, il Coloso, Giacomo Gramolo il capo, Alovise del Lago e chi altro?

Inoltre chi avrebbe ucciso il nostro bandito? Gierolamo Gasperini che consegnerà la pistola di Zanzanù il 2 settembre non viene citato tra i presenti all’uccisione del bandito, anzi chi prende la pistola è Antonio de Franceschino Bertolasio di Aer detto Toni Ton che era un capo, e la consegna in seguito a Gasperini (cugino del figlio di Coloso). Nell’ultimo assalto insieme a Antonio de Francechino c’è anche un Ferraro e proprio loro negli interrogatori vengono indicati come coloro che hanno preso le armi ai banditi…

Altro problema: non ho trovato tra la lista dei soldati Alovise del Lago, ma la cosa che mi ha colpito è la sua ferita: è stato colpito ad una natica e il proiettile gli è uscito dalla pancia quindi la traiettoria dovrebbe essere dal basso verso l’alto, i banditi si trovavano ancora in una posizione superiore rispetto agli attaccanti, dunque o è stato colpito per errore oppure con intenzionalità dai suoi compagni. Altra ferita che mi ha incuriosito è quella alla tempia di Giacomo Gramolo de Prebion, il “chiappo”, viene colpito durante l’attacco con il carro, ovviamente ciò non vuol dire niente data la confusione della scena, ma è strano che durante un attacco frontale uno venga colpito alla tempia di lato dunque, nel ex voto in questa ultima fase tra l’altro si vedono delle persone che stanno sopra gli attaccanti con il carro…

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5 "I protagonisti della battaglia, di Alessandro Tassan Got"

  1. claudio povolo said:

    12/05/2008, at 17:43 [ Replica ]

    Rispondo a Cristina: mi sembra che la sua ricostruzione sia esatta. L'equivoco tra cinque e sei dipende, come si giustificherà il vicario di Tignale, dal fatto che alcuni erano inizialmente feriti. Ma il problema centrale è: costoro che ruolo avevano nelle varie terre di Tignale? Non vi sembra poi che alcune terre partecipino di più alla battaglia? Anche, forse ma non solo, per la dislocazione geografica?

  2. cristina bagarotto said: I protagonisti

    09/05/2008, at 19:53 [ Replica ]

    Vi ringrazio intanto per aver aperto la strada. Allora ricapitolando mi sembra che i morti tra gli attaccanti dovrebbero essere sei e non cinque:

    1) Andrea Antonietto o Busato (13.4) o Antoniazzo (al 13.7) detto il Baratto

    2) mastro Alovise (o Alvise) Dal Lago habita a Oldese, sul comun de Tignale (12)

    3) Giacomo Gramolo quondam Giacomin (o Comin) capo della terra di Prabion (17)

    4) Gasper del quondam Domenego Dall’Ho [anche nominato Colos (13.10, 18.1); Coloso (13.1, 13.4, 17, 18.2,18.11); Andrea Coloso e Coloso de Andrea de Aer (13.8); Zan Coloso (18.9)].

    5) Giovan (o Zan) Battista Zan Battista Roncetto nodaro (13.1).

    6) Zan Antonio Roncetto di Oldes cognominato Brochetta (13.5)

    Per quanto riguarda invece quel Bartholomio Baloloso, nominato nell’interrogatorio 13.10, dovrebbe trattarsi del Coloso considerato i contesti “fu veduto in mezo loro morto quel Bartholomio Baloloso, che l’havevano lì appresso loro tutto fiocazzato con ferite terribili… fu da loro ammazzato la mattina che veniva da segare et haveva la ranza a spalle” (13.10), e per il Coloso “perché il Coloso fu morto che veniva giù per un sentiero…(13.4).

    Anche secondo me i Roncetto dovrebbero essere due, tuttavia mi chiedo perché durante l’inchiesta gli inquirenti ne elencavano sempre solo cinque: non si erano accorti del sesto?

    Ciao a tutti

  3. claudio povolo said: Toni Ton

    09/05/2008, at 19:17 [ Replica ]

    In attesa di intervenire sul tema della battaglia finale e sul probabile uccisore di Zanzanù, vorrei solo precisare che Toni Ton (che pure compare nel fascicolo) è di Oldesio e non è, dunque, Antonio Bertolaso di Aer che compare nella lista dei soldati di Tignale probabilmente con un patronimico diverso.

  4. Alessandro TAssan Got said:

    09/05/2008, at 10:19 [ Replica ]

    Ciao, secondo me Giovan Battista di Roncetti (o Concetto) e Zan Antonio Roncetto di Oldes cognominato Brochetta, sono due persone diverse, infatti il primo è il notaio di Tignale e viene interrogato anche se ferito il 24 agosto, mentre del secondo sappiamo dall'interrogatorio alla moglie Armelina (13.5) che è morto il giorno stesso dello scontro... onestamenrte per l'identificazione del Coloso non saprei.

    Volevo poi fare una domanda tecnica, per queste questioni ancora non definite è meglio continuare come stiamo facendo oppure è meglio che ci confrontiamo sul blog?

  5. Giancarlo Molani said: I protagonisti della battaglia

    09/05/2008, at 10:17 [ Replica ]

    Dunque, secondo me i morti sono i seguenti:
    1) Giacomo quondam Giacomin (Comin) Gramolo da Prebion, detto il capo.
    2) Andrea Antonietto ( ma anche Busato)detto il Baratto di 80 anni.

    3) Alovise Dal Lago
    4) Gasper del quondam Domenego dall’Ho, detto il Coloso
    5) G. Battista (o Z.Antonio) Concetto detto il Brocchetta, nodaro di Oldes.
    Come si vede, vengono chiamati in diversi modi quindi non è facile esserne sicuri ma mi pare siano i più probabili. Per quanto riguarda la pistola di Zanzanù, mi pare che sia stata presa da Tone Ton, mentre Antonio Bertolaso dovrebbe aver preso la pistola del Furlanello e la avrebbe subito data a Gerolamo Gasparini. Ho comunque gli stessi dubbi di Alessandro e quindi attendo anch’io conferma. Ciao a tutti

La battaglia finale (l'efficacia delle armi da fuoco) di Luciano Pezzolo

Le osservazioni di Molani sono interessanti e credo meritino qualche ulteriore approfondimento. Occorre anzitutto dire che le nostre conoscenze su taluni aspetti tecnici delle armi dell'epoca sono piuttosto scarse. La loro efficienza, ad ogni modo, non sembra essere stata elevata. La capacità di fuoco e il grado di precisione erano modesti. A un archibugiere occorrevano alcuni minuti (se non era ben addestrato si arrivava addirittura a un quarto d'ora) per ricaricare l'arma e la probabilità di colpire il nemico era buona solo a qualche decina di metri di distanza. E' stata stimata una percentuale di successo del 10-15% a una distanza di un centinaio di metri. L'elevato numero di vittime potrebbe essere dovuto allo scontro ravvicinato, quasi un corpo a corpo. Quanto agli archibugi da ruota, erano considerate delle armi temibili non tanto per la loro efficacia quanto perché si potevano agevolmente occultare, ad esempio, sotto un mantello; inoltre, non erano facilmente individuabili poco prima dello sparo, come invece accadeva per l'archibugio regolare. L'impiego dell'archibugio da ruota non era generalmente consentito alle cernide, se non altro per motivi squisitamente tecnici: in campo aperto era un'arma ancor meno precisa dell'archibugio lungo. Tuttavia il governo poteva concedere licenze che ne consentivano l'uso specie a partire dal 1599, a seguito di una delibera del consiglio dei dieci. Non è chiaro se in taluni momenti i miliziani potessero impiegare tale arma, ma in genere direi di no. Ciò non significa che i contadini di Tignale e Garganano non ne possedessero, così come era abbastanza usuale trovare armi da fuoco nelle campagne venete. Ciò ci conduce a un ulteriore punto: la capacità dei contadini di usare efficacemente armi di fuoco. I miliziani erano richiesti di esercitarsi almeno un paio di volte all'anno e, sebbene non sia facile trarre informazioni affidabili, il grado di addestramento variva notevolmente. Possiamo imbatterci sia in gruppi di cernide abili all'uso dell'archibugio ( e in questo periodo anche del moschetto) sia in miliziani manifestamente incapaci. Occorre comunque rilevare che l'archibugio non richiedeva (a differenza dell'arco) molto addestramento e questo potrebbe indurci a non enfatizzare il ruolo dell'addestramento tra i nostri miliziani. Gli ufficiali dell'ordinanza si concentravano più sui movimenti che i miliziani dovevano eseguire in un ipotetico campo di battaglia piuttosto che sullo specifico uso dell'arma, che forse davano per scontato.

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4 "La battaglia finale (l'efficacia delle armi da fuoco) di Luciano Pezzolo"

  1. Piergiovanni Mometto said: La mano di Zanzanù

    13/05/2008, at 00:02 [ Replica ]

    Scusate ecco qui il particolare di cui parlavo nel post precedente:
    http://zanzanu.bloog.it/resource/generale/manozanzanu.GIF

  2. Piergiovanni Mometto said: Di chi è il fucile di Ton?

    12/05/2008, at 23:27 [ Replica ]

    E' quello di Zanzanù. A sinistra del Ferrarino c'è un ombra scura allungata disposta tra il suo braccio sinistro e il corpo che scompare quando viene attraversata dal braccio e riappare subito dopo. E quello è il suo fucile.Il Forlanino sul fianco porta una spada con la punta ancora intrisa di sangue (forse l'ultima arma che ha usato). Zanzanù nella mano destra ha ancora in pugno la pistola mentre sopra di lui è ancora visibile (una leggera striatura rosa) quella che potrebbe essere stata la sua mano ancora tesa verso l'alto. Del suo fucile non si vede traccia ma fosse stato sul terreno a fianco del corpo, oppure ancora in mano sua qualche traccia (la punta o il calcio) si vedrebbero comunque nella patrte restaurata. Il fatto che così non sia significa che i due sono raffigurati poco prima dell'atto finale, quando Ton gli strappa di mano il fucile e poi lo finisce. E si. E' proprio così. Quello che si vede nell'ex voto, secondo me, non è il cadavere esanime di Zanzanù. In quel momento è ancora vivo e il fucile gli è appena stato strappato di mano dal Ton.

  3. claudio povolo said:

    12/05/2008, at 17:51 [ Replica ]

    Vorrei porvi una domanda, che mi sono inizialmente fatto osservando il dipinto nel punto che Giovanni ha indicato come 'Il mistero...'. L'archibugio che il Ton Bertolaso alza trionfante è il suo o quello di Zanzanù, il quale esanime giace ai suoi piedi e ha ancora la pistola (potremmo dire fumante) in mano?

  4. Piergiovanni Mometto said: Re: L'efficacia delle armi da fuoco

    09/05/2008, at 10:12 [ Replica ]

    Sovvenuto da remoti ricordi ho ripreso in mano il mio saggio Vita quotidiana e cultura materiale, pubblicato un paio di ere geologiche fa nella monografia dedicata alla comunità di Dueville dove accenno alla presenza di armi nelle abitazioni. Solo per confermare che in effetti (come vagamente mi ricordavo) a partire dalla metà del XVII secolo nelle campagne venete gli archobusi "longhi" e "curti" (quelli da roda) sono una presenza quasi costante nelle case, anche nei piccoli centri rurali, e gli agricoltori più benestanti possedevano delle vere e proprie "restelliere" con armi di vario genere. Che poi fossero funzionanti e utilizzate questo è un altro discorso.

La battaglia finale


Ho fatto una brevissima ricerca sugli archibugi a ruota e ho potuto constatare che si tratta di armi molto potenti ma lentissime nella carica. Si tratta infatti di armi ancora ad avancarica dove la ruota caricata, presumo a molla, appena liberata dalla pressione del grilletto si strofina su una pietra focaia e provocando una scintilla, accende la polvere da sparo che, a sua volta , fa partire il proiettile. Questo mi porta a ritenere davvero incredibile la quantità di morti e feriti tra le milizie di Tignale e di Gargnano. Evidentemente anche i banditi dovevano impiegare molto tempo per la ricarica delle armi, al contrario i colpi andati a segno, tra quelli mortali e quelli che hanno provocato solo ferite( ma alcuni ne hanno riportate due e più) sono moltissimi e sarebbe interessante contare, in base alle testimonianze quanti sono stati. Questo dubbio, come si evince dagli interrogatori ai testimoni e partecipanti della battaglia, l’hanno avuto anche gli inquisitori, probabilmente pensando che i banditi avessero degli appoggi presso gli stessi assalitori, ma vorrei avanzare anche un’altra ipotesi e cioè che, considerando la natura scarsamente militare degli assalitori, certo non avezzi all’uso delle armi, e non sorretti da un piano ben preciso, gli attacchi siano avvenuti, come si può anche vedere nell’interpretazione del pittore dell’ex voto, da più parti e direzioni, anche contrastanti e mi pare possibile che si siano sparati fra loro per pura imperizia e casualità. Un’altra ipotesi, ma mi pare un po’ eccessiva, è che le comunità si siano sparate effettivamente di proposito per poter vantare il diritto alla ricompensa. Mi rendo conto che si tratta di ipotesi piuttosto semplicistiche ma resta il fatto di una clamorosa sproporzione tra la capacità di fuoco degli assaliti e le perdite degli assalitori.

(intervento di Giancarlo Molani martedì, 6 maggio 2008, 17:16)

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3 "La battaglia finale"

  1. Claudio Povolo said: La battaglia finale

    09/05/2008, at 09:58 [ Replica ]

    Giancarlo ha perfettamente ragione. La descrizione dei soldati di Tignale ha a fianco delle sigle che si comprendono molto bene se le si confronta con l'analoga descrizione dei soldati di Gargnano, molto più precisa e dettagliata. Ecco alcuni esempi: Capo Gerolimo Iorio di Marco, Archibuso da rota suo; Zuan Antonio Iorio di Marco Tulio e Zuan Antonio Iorio, archibusi da rota suoi; Francesco Gelmini di Vicenzo, archibuso da campo suo...; Benedetto et Zuan Piero Manini di Domenico, moschetti del Prencipe...; Zuan Turello di Vicenzo, archibuso da campo del commune...; Zuan Tamagnino di Bernardino, archibuso da campo del commune..., ecc. (Archivio della Magnifica Patria, busta 179).

    Tra la popolazione locale, dunque, erano diffusi non solo i semplici archibusi (che in taluni casi erano pure forniti dalla comunità), ma anche molti archibusi da ruota. Nel caso di Tignale sono delle sigle a contrassegnarli: AR (da ruota), AC (archibusi da campo). E, come si può notare sono moltissimi gli archibugi da ruota che, evidentemente, erano personali degli attaccanti stessi. Rimane un po' da capire quanto agevole fosse il loro utilizzo, anche se sappiamo che potevano essere micidiali. Un'altra curiosità: nella descrizione dei soldati di Maderno compare anche il nostro Girolamo Gasparini di Latantio: anche lui, ovviamente, è provvisto del suo archibugio da ruota, che probabilmente aveva con sè quando infuriò la battaglia del 17 agosto.

    Un altro aspetto che si pone di fronte alla diffusione capillare di armi proprie tra la popolazione locale è la foga estrema (l'ho definita antropofagia simbolica) con cui alcuni si impossessano delle armi dei banditi: non sembrerebbe un semplice desiderio d'impossessarsi di un'altra arma, ma di disporre di un vero e proprio trofeo, dall'alto valore simbolico.
    (intervento inserito mercoledì, 7 maggio 2008, 10:51)

  2. Giancarlo Molani said: La battaglia finale

    09/05/2008, at 09:56 [ Replica ]

    Prima di passare all’esame dei nomi emergenti dall’inchiesta e dalla lista dei soldati, vorrei rispondere al professor Povolo in merito all’uso delle armi nello scontro finale. L’archibugio a ruota è un’ arma più moderna dell’archibugio lungo che richiedeva un minuto per la ricarica e, come si può riscontrare dalle testimonianze era l’arma, assieme ad una pistola, di Zanzanu stesso. Gli attaccanti disponevano quasi esclusivamente o di archibugi lunghi o a ruota. Non vi sono dubbi sull’impiego di tali armi nella battaglia finale e non ostante la proibizione, Armelina, moglie di Zuan Antonio Rocchetto detto il Brachetta, afferma che il marito aveva appena comperato un nuovo archibugio da ruota.
    (inserito mercoledì, 7 maggio 2008, 09:21)

  3. Claudio Povolo said: La battaglia finale

    09/05/2008, at 09:53 [ Replica ]

    Le osservazioni di Giancarlo possono essere affrontate solo alla luce di una disamina attenta e del confronto dei due documenti basilari per questa questione: l'inchiesta del Provveditore e l'elenco dei 'soldati' di Tignale. Per gli archibusi da ruota altri meglio di me sapranno rispondere: osservo solo che erano proibiti (si veda un documento a tale proposito in MAGNIFICA PATRIA) e probabilmente non erano presenti nella grande battaglia del 17 agosto 1617. Di certo il confronto fu impari e bisogna dire che Zanzanù si difese bene. Ci fu chi tentò, nascostamente, di aiutarlo? Attendo le vostre osservazioni. Aggiungo solo che il pathos che anima l'ex-voto sembra suggerire un'impresa corale, che lascia indeterminati persino i nomi degli attaccanti e degli uccisori dei banditi: quasi a voler sottolineare che la comunità fu estremamente compatta nell'attacco. Ma fu proprio così?

    (inserito martedì 6 maggio 2008, 21:49

The story of Giovanni Beatrice also known as Zanzanù

This course will focus on a particular story: the story of Giovanni Beatrice also known as Zanon or Zanzanù. The in-depth investigation of Zanzanù’s life is situated against the backdrop of this course’s main theme, the rise and the persistence (even though in different ways) of banditry between the fourteenth and the nineteenth centuries. There will be two different ways to analyse it: on the one hand, we will explain and highlight the particular biography of this bandit and its relationship with the intentional overemphasizing of its mythical dimension, in which it becomes quickly enmeshed, till it looses some of its most important original features; on the other hand, we will examine the political, social, and economical environment in which this biography is inscribed, showing both its peculiarity and the features it shared with other similar life experiences.

We will not examine the documentation in the chronological course of events. We will start with analysing the transcripts of the case that was filed in 1617, right after the killing of Zanzanù, at the instance of Tignale and Gargnano. These two communities were interested in cashing the rewards and the prices provided for by the numerous banishment sentences that were issued against Zanzanù since 1602. This documentation complements the wonderful ex-voto painting that is placed in the shrine of Madonna di Montecastello. This painting was commissioned by the people of Tignale, to remember the “miracle” granted by the Holy Virgin in that memorable 17th of August 1617. The case file (that is entirely transcribed) and the ex-voto painting are the essential instruments to penetrate the typical mythical profile that has been given to Zanzanù. This myth would have survived in a contradictory way throughout centuries till nowadays.

After that, we will continue essentially in chronological order. We will examine the archival documentation concerning the biography of Zanzanù, starting from his first sentence for banishment of 1602, till the testimonies after his death. This documentation is basically generated by the repressive action of the judicial institutions (both local and Venetian), but also by measures taken by the Magnifica Patria of the Riviera and some of its communities. A specific course section examines the documentation produced by the general council of the Magnifica Patria. This will allow us to analyze the social and political relations between local institutions and the dominant city of Venice.

The course draws upon a broad research that was made easier by the skills and kindness of a few friends and historians, especially dr. Giuseppe Scarazzini and all the group of passionate historians who are working on cataloguing the ancient archival found of the Magnifica Patria of the Riviera. Thanks to teacher Andrea Bonassi I was able to move confidently in the places where the memorable battle of the 17th of August 1617 took place. Thanks also to my friend Giovanni Pellizzari who, once again, has been with me in this new adventure and gave a great support transcribing some of the files shown here. Finally, thanks to my friend Giovanni Mometto who encouraged me to try again the experience of the Rama criminal case and helped considerably in building this new web-site dedicated to Zanzanù: he is the one who made the amazing work on the images of the ex-voto painting of the shrine of Montecastello.

Benvenuti nel blog dedicato Zanzanù

Ciao a tutti, questo blog aperto sul web sostituisce lo strumento blog che abbiamo utilizzato nella precedente esperienza dedicata all'omicidio di Giovanni Rama.

Il fatto che questo blog sia liberamente consultabile via web lo rende contemporaneamente anche accessibile da parte dei motori di ricerca e quindi ha la funzione molto importante di segnalare la presenza della nostra iniziativa anche ai motori di ricerca e di rendere accessibile il sito del corso via Internet, contrariamente a quanto è accaduto la volta scorsa.

Tuttavia per rendere efficace questo strumento, cioè per fare si che i motori lo segnalino è importante che esso sia frequentato e costantemente aggiornato.

Gli studenti e gli ospiti autorizzati possono pubblicare nuovi contenuti e temi di discussione, ma tutti i navigatori potranno intervenire liberamente con i loro commenti e domande sui post pubblicati.

Tutti contenuti che saranno pubblicati in questo blog, comunque, saranno contemporaneamente segnalati anche nella home page del corso tramite l'attivazione di feed RSS.

Piergiovanni Mometto

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